Pestino a Pestelli (Pestin)
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Questo sistema di brillatura, meno conosciuto e avente la stessa funzione del pestino a mole ha una tecnologia certamente interessante: il movimento era dato da una serie di camme montate a raggio sull’albero della ruota idraulica, queste sapientemente lavorate sollevavano i pesanti pestelli, per poi rilasciarli sopra il cereale. I pestelli, solitamente di faggio, avevano una forma o quadrata o a punta a tronco di piramide, a volte ricoperta in ferro, sulla faccia posteriore era incastrato uno sperone, sul quale agivano le camme. I pestelli erano sostenuti da una struttura possente in legno, inclinata all’indietro, detta castello, che oltre a sostenerli li guidava verso i o il foro della vasca. Questa poteva essere di cemento o legno, parallelopipeda di grandi dimensioni, con un unico grande foro, o con due, tre, quattro e addirittura 5 fori, in cui venivano inseriti i chicchi. La brillatura avveniva per mezzo del movimento del cereale nella vasca, grazie ai pestelli che non raggiungevano mai il fondo della vasca, evitando il sicuro schiacciamento.
Questo opificio veniva utilizzato anche per la fabbricazione del “loden”. La lana, lavata e pettinata, veniva battuta e pressata fino ad infeltrirla e rendere la stoffa così ottenuta pressoché impermeabile. Oltre a ciò veniva utilizzato per la produzione di acido tannico, indispensabile per la concia delle pelli. Questo acido veniva ottenuto sbriciolando nel pestino la corteccia dell’abete rosso a cui veniva aggiunta dell’acqua in modo che tutto iniziasse a fermentare. Il tannino, contenuto nella corteccia dell’abete era indispensabile per togliere il peli dalle pelli e mantenerle morbide. Anche le ossa degli animali macellati erano sminuzzate fino ad ottenere una farina che veniva poi impiegata come concime per i campi, dato l’alto contenuto di calcio e fosforo.
Il mulino a pestelli, oltre ad essere usato per brillare i cereali, veniva utilizzato per battere la lana. La lana bagnata veniva compressa finché le microscopiche scaglie fibrose aderissero tra di loro. Dopo venivano sovrapposti a croce più strati di lana cardata, questi veli venivano bagnati con acqua e sapone (fatto in casa) e pressati con le mani, con movimenti rotatori dal centro ai lati, tale operazione veniva ripetuta più volte sia su un lato che sull’altro. I bordi dei veli compressati venivano ripiegati ed appiattiti. La superficie, però, è ancora morbida: le fibre non aderiscono del tutto e consentono quindi l’aggiunta di ulteriori strati di lana o di elementi decorativi. In fine il feltro viene arrotolato, pestato e pressato in vario modo per compattarlo nella forma desiderata. Le fibre, a questo punto, aderiscono ormai in maniera indiscindibile conferendo resistenza e impermeabilità al tessuto. A questo punto la stoffa ottenuta si mette nel pestino, quando il primo maglio si sollevava il follatore si affrettava ad estrarre un lembo per verificarne lo stato di feltratura e per aggiungere acqua e sapone. Dopo questa operazione, come le fibre di lana infeltrite anche la pezza di lana follata si restringe di circa un terzo grazie ai tre elementi chiave di questa fase: acqua, pressione e sapone. Dopo essere state follate le fibre sono talmente compatte che devono essere garzate. La garzatura, veniva effettuata con la corolla spinosa del cardo dei lanaioli, questo rende il loden morbido e voluminoso. L’elevata impermeabilità è garantita dalla disposizione parallela delle fibre che, prima di concludere, devono essere ancora pareggiate. Il processo si finisce con la pressatura, atta a conferire lucentezza al tessuto.
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Foto: scattate da Dell'Agnola Silvio su concessione del Museo dei Mulini di Aldino www.museo-aldino.it
I disegni sono stati fatti con Rinhoceros da Dell'Agnola Silvio