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    La Storia delle Miniere del Fursil     
Nel XII secolo nel territorio di Colle Santa Lucia, sulle propaggini meridionali del Monte Pore vi era il sito minerario denominato “Puchberg” o “Wersil” (poi Fursil) al secolo “Miniere del Fursil”. In questa zona venne scoperta una “vena” di minerale ferroso: siderite manganifera un minerale molto presioso grazie all'elevata percentuale di manganese (4-5%), che ben presto rese il territorio del Monte Pore assai importante e appetibile nonché conteso. La falda ferrosa si estendeva in partciolare dai Masi di Costalta e Troi, compare nel 1422 e successivamente nel 1595 in un documento testamentario, nel quale vengono descritti l'esistenza del Maso (casa e fienile); per quanto di difficile lettura e incompleta descrizione, non vi sono dubbi che l'abitazione e l'adiacente fienile, collimino con quelli ancora oggi esistenti. Nei pressi della frazione di “Troi” era presente la miniera principale, chiamata “Medol grande”, altre miniere importanti furono quelle di “Rù” e di “Pont”, sotto “Costalta”, nominate in un documento del 1422 assieme al Maso di Sopradaz. Vi sono altre miniere, non localizzate, ma nominate in un documento del 1590, conservato presso l'Archivio di Stato di Bolzano e cono: Pezcol, Zebibelle e Sottosief. Il nome “Fursil” deriva dal latino “Ferrumz”, tuttavia l'origine del nome sembra essere ancora più antica e derivare dalla lingua paleoveneta (venetica-cadorina) e, in particolare, dalla forma “ferso”. Tutto ciò fa presupporre che il giacimento minerario fosse sfruttato in epoca precedente a quella documentata da testimonianze scritte. A consolidare tale teoria è il ritrovamento ad opera di un falciatore nel 1866 sul Monte Pore di una stele con iscrizioni venetiche, conservata nel Museo di Bolzano e, in copia, nel Museo Vittorino Cazzetta di Selva di Cadore.
Le miniere del Fursil davano ferro pregiato per la presenza di una elevata quantità di manganese, quasi il 5% in forma di ossido, che conferiva al metallo rilevanti caratteristiche tecnologiche. Questo ferro opportunamente lavorato, acquisiva doti di elevata resistenza agli urti e alla corrosione e flessibilità. Il ferro qui prodotto aveva una notevole rilevanza economica perché premetteva la realizzazione di ottime armi bianche, tant'è che le migliori spade bellunesi sono costruite con questo metallo e costituiscono la parte preponderante dell’a1meria della Serenissima nel Palazzo Ducale di Venezia. Il polo del distretto minerario, e posto al di sopra di Pian, tra le quote dei 1400 ed 1500 metri, ed e ancora ben evidente grazie alla grande ferita non rimarginata, detta Vuaz. ll primo documento riguardante le miniere risale al 1177 e attribuisce le stesse al Convento di Novacella, per donazione dell’Imperatore Federico I Barbarossa con il decreto del 5 settembre, (il più antico documento relativo a questa zona). Si pensa che il minerale una volta estratto, fosse accumulato in appositi spazi protetti vicino alla miniera, come descritto in un documento del XVI secolo del fattore delle miniere G.B. Piazza indirizzato al Vescovo di Bressanone; lo stesso veniva quindi trasportato lungo le "Vie del Ferro" sul dorso di muli e cavalli, e condotto ai forni fusori. In una giornata di lavoro si estraevano circa 13000 Kubel (in Italiano Staia), un kubel corrispondeva a circa 75Kg. La posizione di confine delle Miniere, porto a molte accanite lotte tra i territori del Vescovo di Bressanone e quelli della Repubblica di Venezia, per il loro possesso.
Nel 1316 la castellania di Andraz è venduta da parte di Paul von Schoneck a Guadagnino Avoscano, famiglia che in quel momento estendeva la propria influenza sull'intero Agordino e alto Cordevole. La politica di Guadagnino si mostrò fin da subito ambigua: si riconosceva infatti suddito e feudatario dei Principi Vescovi di Bressanone per quanto riguarda la castellanie di Rocca Pietore e Andraz, ma allo stesso tempo portava avanti però gli interessi dei Da Camino, di cui era alleato. I Da Camino e gli Avoscano estrometterono dall'amministrazione delle miniere il legittimo proprietario, ossia il Convento di Novacella, feudataria ormai a sua volta del Principe Vescovo di Bressanone; all'atto pratico inoltre i minatori e amministratori provenienti dl principato brissinese, tra cui pusteresi, fodomi e badioti, vengono man mano sostituiti da minatori veneti e cadorini. Questa si protrasse per qualche decennio, finché le ingerenze venete non furono più tollerate e Bressanone procedette con l'assedio di Andraz e l'espulsione degli Avoscano nel 1350.
Nel corso del secolo successivo però il Convento di Novacella non gestisce le miniere direttamente, ma le affitta al miglior offerente, amministratori privi di interessi a lungo termine, non si impegnarono mai a difendere i diritti dell'Abazia e a porre fine allo sfruttamento promiscuo avviato dagli Avoscano. Le ingerenze della Serenissima che ormai controllava il Bellunese, sulla Miniere del Pore era giustificato dall'ottima qualità del minerale estratto; nei secoli seguenti i contenziosi attorno ai diritti di sfruttamento della miniera non ebbero tregua fino alla guerra tra l'Impero Ausburgico e Venezia del 1508, dopo la quale il totale controllo del Vescovo di Bressanone sulle Miniere non venne più conteso da Venezia.
L'età moderna, che si apre storicamente con la scoperta dell'America del 1492, inizia con la continuazione delle contese per il controllo dei territori di confine fra i quali è interessato anche quello di Colle Santa Lucia per il controllo delle Miniere del Fursil. La Guerra fra Austria e Venezia 1508/1511 pone fine alle contese che avranno una conclusione definitiva con il Processo di Trento 1533/35.
Nel 1543 diventa Principe-Vescovo di Bressanone Cristoforo Madruzzo, che contemporaneamente è anche Principe-Vescovo di Trento e nel 1555 affida le miniere al fratello Nicolò, separando il ruolo dell'amministrazione delle miniere dalla carica di castellano di Andraz. Sotto i Madruzzo lo sfruttamento delle miniere del Fursil diventa un obiettivo prioritario del Principato Vescovile di Bressanone e avviano la costruzione di un insieme di infrastrutture che permettano d’incrementare l'estrazione e la lavorazione del minerale del monte Pore, creando un ente “ad hoc”. Inoltre adottano una serie di misure per eliminare il contrabbando del prezioso minerale verso il Cadore, pratica avviata e incoraggiata dagli Avoscano e tollerata dagli amministratori successivi; sostituendolo invece ad una proficua esportazione regolare verso i forni di Cencenighe, Caprile e Alleghe. Tali fucine continueranno a lavorare quasi esclusivamente minerale estratto dalle miniere del Fursil fino ai primi decenni del XVII secolo.
Una fonderia nel castello di Andraz esisteva già, ma in questa fase di riorganizzazione economica , un’altra ne viene costruita nel 1589, mentre nel 1608 avvenne il potenziamento di un altro forno già esistente a valle del passo Valparola verso la Val Badia (attuale Malga Valparola), e l'avvio della fucina a Piccolino, presso San Martino in Badia. Il bosco di Arparora viene acquistato appositamente dai Madruzzo alle monache di Castel Badia per rifornire di carbone il forno di Valparola. Le fucine di Piccolino si trovano invece in un tratto di fondovalle della Val Badia che faceva parte dei possedimenti episcopali nel giudizio di Tor, in posizione vantaggiosa per lo sfruttamento del torrente Gadera e del bosco di Plaies. Questi impianti sono estremamente all'avanguardia per la zona, abituata a piccole fonderie e fucine. Il forno di Valparola ad esempio è di tipo preindustriale a forgia catalana ad alimentazione idraulica. Nei pressi della fucina di Piccolino, la più importante dell'intero sistema, viene fatta erigere una nuova sede dell'amministrazione delle miniere e delle fucine episcopali. Per mettere in collegamento la miniera del Fursil, il Castello di Andraz, il forno del Valparola e la fucina di Piccolino verrà stesa una strada apposita che prenderà il nome di strada de la Vena (in ladino tru o troi dla Vena).
Il massimo rendimento di tali miniere si ebbe verso la meta del 1600 quando vennero aperte quattro nuove gallerie di cui, una, lunga un chilometro e si potevano estrarre tino a 10.000 secchi di minerale, tanto da permettere il funzionamento contemporaneo di ben nove forni fusori, otto Veneti, distribuiti nelle Valli di Agordo e Zoldo, ed uno Vescovile. Questo ero sito presso il castello di Andraz, in seguito spostato, per la scarsità di legname, nel 1558 sul Passo Valparola e quindi a Piccolino in Val Badia. Per garantire la provenienza e la qualita, il ferro veniva marchiato con l’agnello, simbolo Vescovile di Bressanone. Dal prezioso minerale il Vescovo ne ricavo cospicue entrate, non molto pero andò a beneficio del paese di Colle. Un accordo con i Vescovili consenti di lavorare le miniere fino alla loro chiusura, verso il 1753. Nel 1837 un’impresa Agordina le riapri per breve tempo. Un tentativo più consistente di slittamento lo effettuo la Breda con la Miniera detta "Valle dell’Agnello” nel periodo autarchico 1938-43. La definitiva chiusura la si ebbe nel 1945. Di tale secolare testimonianza, oggi rimangono precisi segni storici sul territorio: il Castello di Andraz, la Casa Chizzali Bonfadini detta anche "Césa del Jan", e i monumenti terminali della "Strada dela Vena" e dell’antica “Via del Ferro" che univa i luoghi della coltivazione delle "vene" a Colle Santa Lucia a quello della fusione presso il Castello di Andraz.
Testi, ricerche & Fotografie: Dell'Agnola Silvio con Nikon CoolPix P1000
Biblografia:

Storia dell'Agordino - Ferdinando Tamis
Guida Storico-Alpina di Belluno-Feltre - Ottone Brentari
Guida Insolita alle Dolomiti - Dino DiBona
L'Agordino e le sue Dolomiti - Giorgio Fontanive
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